domenica 23 settembre 2012

BEREGUARDO ... STORY di Teresa Ramaioli

BEREGUARDO ... STORY
di
Teresa Ramaioli
MIRACOLI A SAN MARTINO SICCOMARIO
Di DINO BARILI e TERESA RAMAIOLI
Antonio Cuocodelre aveva puntato tutto sulla qualità e non aveva paura degli allagamenti dei fiumi. Durante le piene, caricava i suoi pochi mezzi sul carro e si portava in luogo asciutto. Allestiva il posto ristoro e, senza lamentasi mai, offriva la migliore accoglienza possibile ai clienti. Il suo motto era:”Non bisogna aspettare i clienti, dobbiamo andargli incontro, affinché si ricordino della tua disponibilità e capacità di essere loro utile”. Con questo sistema il successo dell’Osteria del Re di San Martino Siccomario non vene mai a cessare. I primi a mostrare simpatia erano i maniscalchi che, nel 1800 dopo gli osti, erano i più numerosi a San Martino. Il merito erano dei pavesi : non li volevano dentro le mura della città. Ai pavesi piacevano i cavalli ben ferrati ma i maniscalchi erano troppo rudi, rumorosi, sguaiati. I maniscalchi quando preparavano i ferri per i cavalli, non picchiavano solo sul ferro rovente, ma anche sull’incudine, un rumore assordante, ritmico. Inoltre c’era il problema della lunga sosta dei cavalli in attesa di essere ferrati. Lo sterco non era solo un problema di raccolta, trasporto e smaltimento, provocava , specialmente nei mesi estivi, una grande concentrazione di mosche e tafani insopportabile per tutti i cittadini. I maniscalchi erano uomini robusti, spesso violenti, sempre a torso nudo estate e inverno, ed il sudore grondava da tutte le parti. Per i ricchi cittadini pavesi educai, eleganti, raffinati ed istruiti erano un pugno nello stomaco. Pavia non era il posto adatto per una simile categoria di individui. Così i maniscalchi finirono in buona parte a San Martino Siccomario…(CONTINUA)Teresa

1 commento:

  1. MIRACOLI A SAN MATINO
    Di DINO BARILI e TERESA RAMAIOLI
    I maniscalchi finirono in buona parte a San Martino Siccomario, dove c’era spazio e ottime osterie. A Pavia, nel 1833, la Commissione all’Ornato Pubblico presieduta dal Podestà Giureconsulto Don Pio Folperti, composta dal Professore di Architettura dell’Università Giuseppe Marchesi e dagli Ingegneri Camillo Capsoni, Vincenzo Orlandi, Carlo Reale, Francesco Capsoni, aveva un concetto molto rigido della gestione dei nuovi progetti abitativi e nelle ristrutturazioni del patrimonio edilizio della città. Appena poteva eliminava attività produttive non compatibili con i ritmi e la vita di una cittadina ricca ed aristocratica. Pavia contava , allora, 23413 abitanti con 1140 possidenti. La Provincia correva lungo i fiumi Ticino e Po, da Abbiategrasso a Chignolo Po e inglobava molte località oggi appartenenti al milanese come Rosate, Binasco e Lacchiarella con una popolazione complessiva provinciale di 154.251 unità. Pavia era una città di frontiera con un territorio di confine, a ridosso dello stato piemontese con regole tassative e precise. C’era poi l’Università, con due Collegi Borromeo e Ghislieri, la cui fama oltrepassava i confini nazionali e dava lustro alla città. I maniscalchi, in questo contesto, era meglio tenerli lontani, fuori dalle mura cittadine. San Martino Siccomario era il posto ideale, abbastanza vicino per essere raggiunto a piedi dal Ponte Coperto, posto su una strada trafficata, con spazi per cavalli, carrozze e cavalieri,nello stato piemontese, con regole meno rigide di quelle di Pavia. In quella località i maniscalchi si trovavano bene, erano a loro agio, potevano picchiare sull’incudine quanto volevano, vivere in assoluta libertà, con pochissimi controlli e tasse minime.(CONTINUA)Ciao Teresa

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