martedì 25 settembre 2012

BEREGUARDO ... STORY di Teresa Ramaioli

BEREGUARDO ... STORY 
di
Teresa Ramaioli
MIRACOLI A SAN MATINO
Di DINO BARILI e TERESA RAMAIOLI
I maniscalchi finirono in buona parte a San Martino Siccomario, dove c’era spazio e ottime osterie. A Pavia, nel 1833, la Commissione all’Ornato Pubblico presieduta dal Podestà Giureconsulto Don Pio Folperti, composta dal Professore di Architettura dell’Università Giuseppe Marchesi e dagli Ingegneri Camillo Capsoni, Vincenzo Orlandi, Carlo Reale, Francesco Capsoni, aveva un concetto molto rigido della gestione dei nuovi progetti abitativi e nelle ristrutturazioni del patrimonio edilizio della città. Appena poteva eliminava attività produttive non compatibili con i ritmi e la vita di una cittadina ricca ed aristocratica. Pavia contava , allora, 23413 abitanti con 1140 possidenti. La Provincia correva lungo i fiumi Ticino e Po, da Abbiategrasso a Chignolo Po e inglobava molte località oggi appartenenti al milanese come Rosate, Binasco e Lacchiarella con una popolazione complessiva provinciale di 154.251 unità. Pavia era una città di frontiera con un territorio di confine, a ridosso dello stato piemontese con regole tassative e precise. C’era poi l’Università, con due Collegi Borromeo e Ghislieri, la cui fama oltrepassava i confini nazionali e dava lustro alla città. I maniscalchi, in questo contesto, era meglio tenerli lontani, fuori dalle mura cittadine. San Martino Siccomario era il posto ideale, abbastanza vicino per essere raggiunto a piedi dal Ponte Coperto, posto su una strada trafficata, con spazi per cavalli, carrozze e cavalieri,nello stato piemontese, con regole meno rigide di quelle di Pavia. In quella località i maniscalchi si trovavano bene, erano a loro agio, potevano picchiare sull’incudine quanto volevano, vivere in assoluta libertà, con pochissimi controlli e tasse minime.(CONTINUA)Ciao Teresa

1 commento:

  1. Miracoli a San Martino Siccomario
    Di Dino Barili e Teresa
    I maniscalchi , nei momenti di libertà, avevano a disposizione numerose osterie nelle quali praticavano il loro gioco preferito: braccio di ferro. Ogni osteria aveva il suo campione. Erano uomini alti, robusti, muscolosi e si sfidavano tra loro. Accanto alle sfide aumentavano le scommesse in denaro fatte soprattutto da pavesi ricchi, raffinati,istruiti, i quali, per provare sensazioni forti, mettevano a rischio il patrimonio e la pace famigliare. I ricchi scommettitori puntavano sulla forza dei campioni di San Martino Siccomario e le giovani donne sognavano, un giorno, di poterne incontrare uno, per averlo come compagno della vita. Fu così anche per Somensina Degli attivi, figlia unica, ricchissima, di un fittabile di Carbonara al Ticino . Il fatto sarebbe passato inosservato, come una normale cotta tra un uomo e una donna, se la notizia non l’avesse propagandata un commerciante ambulante di Travacò Siccomario: Cirip Stringhebindei. Questi, per attirare la maggior attenzione possibile al suo carretto delle mercanzie, raccontò che Somenzina si era pazzamente innamorata del più famoso maniscalco di San Martino Siccomario, campione in carica di braccio di ferro:Cornelio Barnazzi detto Barnas. Era alto quasi due metri, con un corpo scultoreo come una statua greca. Somenzina portava i suoi cavalli da far ferrare al bel maniscalco di San Martino e rimaneva incantata a guardarlo per un tempo indefinito. La fitaulina di Carbonara al Ticino aveva perso la testa per Barnas ed aveva rifiutato la proposta di matrimonio di un ricchissimo nobile milanese. Cirip diceva: “Nelle favole c’è sempre una Cenerentola alla ricerca…(continua)Teresa

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